lunedì 27 aprile 2009

Tsunami


Stavo seduta da ore, avevo i muscoli indolenziti, ero diventata una statua di carne, avrei voluto sciogliere quella tensione tremenda, quanto avrei voluto...
Nel reparto c'era rumore, l'andirivieni delle infermiere, i rapidi voli rasoterra dei medici, lo sferragliare dei carrelli degli inservienti, il lamento regolare di una vecchia nella stanza accanto, i campanelli delle camere, lo squillo dei telefoni, il brusio degli accompagnatori. Pezzi di frasi, captati senza parere, parole che volevano essere rassicuranti, racconti di quotidianità protetta, l'ira repressa, lo spavento, la morte.
Da tutto questo non sono riuscita a proteggerti, perchè volevi bere fino in fondo l'amaro calice, chi mi potrà perdonare?
Poi un'infermiera è uscita, scandendo il tuo cognome, ci siamo riscosse, tra il sollievo della fine dell'attesa e lo sgomento per la sentenza che di li a poco sarebbe stata pronunciata. Le mie gambe irrigidite si riufiutavano di muoversi, mentre tu quasi correvi verso l'ambulatorio, trovai insensata quella fretta.
Non voglio parlare di ciò che accadde dopo, ancora non me la sento, non posso, anche se è una storia che mi racconto tutte le sere, prima di dormire, scriverlo la renderebbe più tangibile, forse ancor di più di quando questi fatti si svolsero nella realtà, arrivando come un'onda di tsunami a distruggere le nostre vite.

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